
-Come pensi che si debba leggere? dice lui.
-Con attenzione, dico io. Almeno così mi hanno insegnato.
-Ma, sai, dipende.
-Da cosa?
-Dal genere di testo. Dallo stile. Ad esempio i testi redatti con sistemi impressionisti non devono essere letti attentamente, così come sarebbe sbagliato guardare un dipinto impressionista troppo da vicino. Questo genere di testo è pensato per veicolare un’impressione complessiva, fatta di una quantità di singoli elementi che non hanno, strettamente, significanza propria, e in fondo nemmeno reali relazioni gli uni con gli altri. Sono come spatolate di colori che soltanto a uno sguardo non-analitico, soltanto viste da una certa distanza, danno luogo a una forma, a un significato.
-Ah. Ma le parole, già in sé, hanno una struttura più complessa delle spatolate di colore.
-Cioè?
-Cioè oltre a contribuire all’insieme, ogni parola ha un senso e delle possibilità di costruzione e compatibilità propri. Il che non si può dire, credo, delle spatolate di colore.
-Mi sembra un modo superato di vedere le cose.
-Dipende. Perché se non si tiene costo di queste particolarità capita che l’effetto d’insieme sia bizzarro, e magari opposto a quello che si voleva trasmettere.
-Fai un esempio.
-Subito.
-No, ferma. Prima dimmi da che libro citi.
-Non ha importanza. È un testo certificato impressionista: il senso che si allarga a chiazza d’acquerello sulla pagina; e siccome basta poco a variare i margini della chiazza, manovrando accortamente, con un’unica pagina ci fai un libro intero.
-Mi sembri prevenuta.
-Postvenuta piuttosto. Il libro l’ho letto.
-Dai, fuori allora.
-Sei pronto? «Le case di periferia erano i falansteri dove dimoravano uomini minori, interregno che induceva a pensieri mortali perlopiù: certe volte qualcuno volava giù dal balcone o si lanciava sotto il treno in corsa sui binari della vecchia ferrovia che inciampava come un patetico fermabue sui dossi dei canaloni di fogna.»
-Tutto qui? E che c’è da dire?
-Alcune cose. Intanto segnaliamo quel “perlopiù” posposto, così inusuale. L’autore ha scoperto un mezzo per sorprenderci; ne ha fatto un vezzo, e vai con gli avverbi posposti che fanno un bel ritmo e costano poco.
-Non mi pare così grave.
-Dipende. Ma il punto non è quello, il punto viene dopo. Dunque qui si parla di uomini minori, che indotti a pensieri perlopiù mortali (o perlopiù indotti a pensieri mortali) si suicidano gettandosi dai balconi o lanciandosi sotto il treno in corsa. L’inconveniente è che questo treno in corsa corre su una vecchia ferrovia che inciampa sui dossi dei canaloni di fogna, quindi al massimo arranca. Già deve essere tremendo lanciarsi sotto un treno in corsa, immaginati poi sotto un treno che va piano. Che ti maciulla lentamente. Non lo farebbe nessuno. Ma il testo, che l’autore lo voglia o no, questo dice; oltretutto l’impressione del procedere a fatica e dell’essere sempre lì lì per arrestarsi è confermata dalla similitudine: «come un patetico fermabue», che contiene addirittura la parola ‘ferma’. Confesso che non sapevo cos’è un fermabue. Ho dovuto consultare un dizionario. Il quale dopo un paio di incertezze (pare che la forma più corretta sia ‘restabue’, ma insomma) mi ha informato che si tratta di pianta resistente e spinosa in grado di fermare i buoi che arano. Stessa idea, quindi, di impaccio e di arresto. Scherzi delle spatolate di colore. La spatolata va bene per suggerire la decadenza e obsolescenza della ferrovia come di tutto ma proprio tutto in questo romanzo; ma non va bene se sotto i treni lenti e arrancanti voglio farci suicidare qualcuno. La cosa però che mi lascia più perplessa, e che francamente non riesco a risolvere in alcun modo, è che la vecchia ferrovia pare essere a un tempo quello che inciampa (contro i dossi/le piante fermabue) e quello che fa inciampare (il dosso/il fermabue stesso). Sempre che invece l’autore non abbia trasformato un verbo intransitivo (inciampare) nel suo corrispondente transitivo: fare inciampare. È una cosa che fa spesso, gli snellisce il ductus.
-Licenze autoriali, che c’è di male?
-Nulla, nulla. Il famoso “scendimi il cane che lo piscio”. D’altra parte è così che si scrive ora: per cortocircuiti, allusioni, sincopi accorate, lagrime trattenute, improbabili identificazioni…
-Identificazioni? Con chi?
-Mah… prevalentemente con personaggi letterari: Ottilia, Ofelia, Edoardo, che ne so… Gesù Cristo, la vedova di Isaia… Non ha molta importanza, tanto l’autore parla sempre di sé, non fa che parlare di sé mentre le sue lagrime cadono sulla pagina acquerellata e allargano e modificano i contorni della chiazza e moltiplicano la pagina per cento o duecento.
-Magari il risultato estetico è buono.
-Se ti piacciono le lagne.
-Potrebbe essere una forma di neoromanticismo.
-Oppure un pasticcio di maccheroni in crosta. Annegato in troppa besciamella.