
Durs Grünbein (Dresda, 1962) è senz’altro il poeta vivente più laureato, più premiato, più coccolato e più conosciuto e riconosciuto a livello internazionale che la Germania possa vantare. È anche un autore molto prolifico. Dall’esordio, ovviamente fulminante, con Grauzone morgens (Zona grigia, mattina) (1988) a Äquidistanz (Suhrkamp, luglio 2022), sono dodici le raccolte poetiche pubblicate, senza contare le opere in prosa: saggi e altro. Della produzione poetica sono disponibili in italiano a cura di Anna Maria Carpi due scelte antologiche (A metà partita: poesie 1988 – 1999, Einaudi 1999, Strofe per dopodomani e altre poesie, Einaudi 2011) e il poema in 42 canti Della neve, ovvero Cartesio in Germania (Einaudi 2005).
Grünbein non è quello che si dice un poeta “lirico” (sempre che la specie esista ancora); è disincantato, analitico, sarcastico; coltissimo, e soprattutto con una robusta radice nel comparto scientifico: anatomia, fisiologia, neuroscienze – in generale, interesse per la materia. E qui mi fermo perché non lo conosco. Fino a qualche settimana fa di suo avevo letto, occasionalmente, quello che circola sul web, che è poco.
Pare tuttavia che con il nuovo secolo le cose fossero un po’ cambiate :
Se il giovane Grünbein era stato quasi unanimemente celebrato quale figlio delle Muse e nuovo poeta nazionale tedesco, più controversa è la ricezione critica in Germania della più recente produzione, non di rado contrassegnata da insofferenza da parte dei recensori verso la compiaciuta erudizione, la freddezza calcolata, il pathos della distanza, e il decòr neo-antico dei nuovi versi. Un dissenso che in una certa misura umanizza la figura di Grünbein, ma che permette anche di rilevare l’audacia e di misurare il prezzo della calcolata “inattualità” che segna l’evoluzione più recente della poetica dell’autore. Qui infatti a dominare non è più il chiasmo tra scienza naturale e poesia che un titolo come Ode al diencefalo catturava in modo felice: è invece il rapporto tra moderno e antico, colto da un punto di vista trans-storico, ad improntare la poesia delle ultime raccolte già nel registro formale. E’ il salto spericolato dalla “lingua-spada” degli esordi all’aere perennius. (Italo Testa 2012, qui. In generale su LPLC si trova diverso materiale)
L’avrà pure catturato in modo felice, il chiasmo fra scienza naturale e poesia, ma Ode al diencefalo non è uno di quei titoli che avrebbero catturato me. Mi interessa di più invece “il rapporto tra moderno e antico, colto da un punto di vista trans-storico”. Così ho comprato la sua ultima raccolta, Äquidistanz, in cui, secondo risvolto di copertina, la peregrinazione spaziale, geografica, recupera la terza dimensione, la dimensione storica (e si pensa un po’ a Sebald), diventa “messa in sicurezza delle tracce”, “definizione del luogo” e – non poteva mancare – confronto con se stessi. Aggiungiamo che il poeta peregrina principalmente in Germania (in particolare Berlino), ma anche per un bel tocco nell’Italia mediterranea (Grünbein vive, dicono, fra Berlino e Roma).
A quel che ho potuto vedere la critica non è entusiasta. Oltre alla “compiaciuta erudizione” e al “decòr neo-antico” quello che si rimprovera alla raccolta è la caduta nella banalità. Magari riscattata, per i critici più benevoli, dal colpo di coda di un ultimo verso o da una (rara) metafora spiazzante. Come che sia, propongo la mia traduzione di quattro poesie, tratte da tre delle nove sezioni della raccolta. Poiché il preformattato non mi permette di inserire note (o almeno io non sono capace), ove necessario alla comprensione farò precedere il testo da qualche informazione.
1. LA TORRE DELLA CONTRAEREA (sezione I): “Le Flakturm (“torre contraerea”; plurale: Flaktürme) erano otto giganteschi complessi di torri d’avvistamento e difesa antiaerea costruite nelle città di Berlino (3), Amburgo (2) e Vienna (3) a partire dal 1940. Erano utilizzate dai reparti FlaK (contraerei) per difendere le città dalle incursioni aeree e come rifugi antiaerei durante la seconda guerra mondiale. Ogni complesso era formato da due singole torri, diverse per dimensioni e armamento.” (Wikipedia). A Berlino, nello Humboldthain (il Parco Humboldt) è rimasta una di queste torri. Col termine Flakhelfer (supporto della contraerea) si indicano tuttora “gli studenti tedeschi utilizzati come soldati bambini durante la seconda guerra mondiale. […] I nati del 1926-1927 sono comunemente indicati come “generazione-Flakhelfer”.” (Wikipedia). ‘Führer‘ è corsivo nell’originale. Nota al testo tedesco: Durs Grünbein sembra non aver recepito la riforma ortografica relativa all’eszett (ß).
LA TORRE DELLA CONTRAEREA «… sta come un’isola nel mare. I russi andati da tempo.» E ancora resiste, assediata dal verde, dai cespugli, più alta del fitto degli alberi in mezzo al mare di case: il bunker di Humboldt, nessuna ferita, più, della memoria. Intorno si rincorrono i bambini, giocano a nascondino fra gli arbusti, frusciano nel fogliame gli scoiattoli. Una volta ci hanno trovato un cadavere. La polizia aveva transennato l’area un bel pezzo intorno, messa in sicurezza delle tracce. «Omicidio nello Humboldthain!» strillava il foglio locale – uno di molti casi annui. In cerca di avventura c'è ancora chi si infila nel pozzo, striscia nelle camere delle condutture. Ci trovano siringhe, preservativi nelle rovine del Terzo Reich. Altri scalano le pareti. Il mostro garantisce al contatto la pelle d’oca. Il freddo umido del calcestruzzo un sentimento nella punta delle dita. Dal diario di un Flakhelfer, fine aprile 45 (il Führer, tramite colpo in testa, si è squagliato nel Valhalla, l’aria piena di fumo, opaca, corrosiva): «Nei cinque piani dappertutto morti. ... più nessun aiuto, il cambio non arriverà.»
Der Flakturm «... steht wie eine Insel im Meer. Die Russen sind längst vorbei.» Und da steht er noch immer, umbuscht und umgrünt, überragt den dichtem Baumbestand mitten im Häusermeer: Humboldts Bunker, keine Erinnerungswunde mehr. Kinder jagen sich um das Trumm, spielen im Strauchwerk Verstecken, Eichhörnchen rascheln im Laub. Einmal fand man hier eine Leiche. Polizei hatte das Areal weiträumig abgesperrt, Spurensicherung. «Mord im Humboldthain!» schrie das Lokalblatt - einer von vielen Fällen pro Jahr. Manche kriechen noch in den Schacht auf der Suche nach Abenteuern, in die Kabel- und Leitungskeller. Sie finden dort Spritzen, Kondome in den Ruinen des Dritten Reiches. Andere kraxeln die Wände hinauf, Gänsehaut garantiert bei Berührung des Monsterbaus, Naßkalter Beton weckt ein Gefühl in den Fingerspitzen. Aus dem Tagebuch eines Flakhelfers, Ende April 45 (der Führer hat sich per Kopfschuß nach Walhalla abgesetzt, die Luft voller Rauch, ächzend und trüb): «In den fünf Stockwerken überall Tote. ... keine Hilfe mehr, kein Ersatz.»

Non analizzerò le poesie che traduco. Vorrei però, per questa, focalizzare brevemente sulla terza strofa, centrale, che appare stranamente incidentale – una nota a margine di cui ci si chiede il senso. In realtà la parola-chiave è Spurenversicherung, messa in sicurezza delle tracce, che già il risvolto di copertina, abbiamo visto, dava come obiettivo degli ultimi lavori del poeta. Si tratta, a mio avviso, di rilevare il contrasto fra la messa in sicurezza delle tracce (la polizia ha transennato l’area “weiträumig”: un bel pezzo intorno; il foglio locale strilla la notizia) in un caso di cronaca nera – deplorevole, certo, ma non una rarità nella metropoli – e l’oblio (“keine Erinnerungswunde mehr“, più nessuna ferita della memoria) delle tracce di una catastrofe di ben altro significato e proporzioni.
2. BATTESIMO DI PIOGGIA (sezione V): proprio nei primi versi c’è un gioco di parole fra ‘Traufe‘ (letteralmente grondaia, ma in qualche modo il termine è legato a una pioggia torrenziale e eccessiva, come nel modo di dire “vom Regen in die Traufe” che corrisponde al nostro “dalla padella alla brace”) e ‘Taufe‘, battesimo. Ho cercato di recuperarlo traducendo “aus allen Traufen” con “da tutti i fonti”.
BATTESIMO DI PIOGGIA A Parma pioveva. I giorni annegavano nella pioggia che scrosciava da tutti i fonti – e lì mi è venuto in mente: tu non sei battezzato, non sei cresimato, nemmeno circonciso. Nell’ombra del battistero, il viso oscurato dall’ombrello, mi ha colpito il fatto: privo di marchiatura religiosa. Le acque salivano, nella pietra i basilischi si spingevano avanti, i rettili infernali strisciavano giù lungo la facciata. Il marmo rosa, umido, luccicava come una gengiva. E io ero lì, inchiodato dalla pioggia e fissavo lo sguardo nelle masse d’acqua. Che ci capiti a volte, nel Da-qualche-parte, di arenarci in piazze dove nessuno ci ha chiamati, non ci crea problemi? È vero, solo nell’estraneità si è vicini a se stessi, fra le case degli altri quello che nessuno aspetterebbe per pranzo o per cena. Questo intendeva la pioggia, questo intendevano i leoni all’ingresso del duomo, tutta Parma lo diceva. Qui si era indomiciliati, degli stranieri, e avremmo anche potuto essere laggiù, nell’aldilà con quegli stessi gargoyle, demoni immersi in una corrente di arie gelide, nel Purgatorio. Per gli abitanti di Parma non avrebbe fatto differenza. Così io stavo, la spina dorsale schiacciata contro l’ottagono e avevo fame d’aria, guardavo, mentre la pioggia avvolgeva ogni cosa nell’umiltà.
Regentaufe In Parma regnete es. Die Tage ertranken im strömenden Regen aus allen Traufen - da fiel es mir ein: Du bist nicht getauft, nicht konfirmiert, auch nicht beschnitten. Im Schatten des Baptisteriums, das Gesicht verdunkelt unter dem Regenschirm, traf mich das Faktum: religiös unmarkiert. Die Wasser stiegen,die Basilisken im Stein rückten näher, die Höllenreptilien krochen an der Fassade herab. Feucht glänzte der rosa Marmor wie Gaumenfleisch. Und da stand ich, vom Regen festgenagelt und starrte den Wassermassen entgegen. Daß wir manchmal im Irgendwo stranden auf Plätzen, an die uns niemand gerufen hat, kommen wir damit klar? Es ist wahr, in der Fremde erst kommt man sich nah, zwischen den Heimen der andern der eine, den keiner erwarten würde bei Tisch. Das meinte der Regen, meinten die Löwen vorm Domportal, ganz Parma sprach es aus. Hier war man unbehaust, ein Fremder, und hätte auch dort sein können, im Jenseits mit denselben Regenspeiern, Dämonen in einen Strom kalter Lüfte getaucht, im Purgatorio. Für die Bewohner Parmas hätte es keinen Unterschied gemacht. So stand ich da, das Rückgrat geschmiegt an das Oktogon und rang nach Luft, schaute, während der Regen alles in Demut hüllte.
3. e 4. Le due poesie seguenti sono tratte dalla sezione VI, costituita da venti testi numerati, non tutti provvisti di titolo autonomo, con un tema comune: isola/e del Mediterraneo. Il titolo della sezione, o dell’intero componimento, è: L’ISOLA CHE NON C’È (Die Insel, die es nicht gibt). Il testo numero 4 fa chiaro riferimento all’isola di Ventotene (Pandataria). C’è un punto, in cui si parla di ‘mensa’ e di ‘saltare il fosso’, che mi è relativamente oscuro. Il “manifesto” in ogni caso si riferisce chiaramente al Manifesto di Ventotene, contrabbandato fuori dall’isola dalle mogli e sorelle degli autori confinati. Al verso 26, “dove sta memoria” è in italiano nel testo. Sul componimento 6, POLVERE DI POLLINI, POLVERE DI TEMPO (Blütenstaub, Zeitenstaub) non ho niente di particolare da dire.
L'ISOLA CHE NON C'È 4 Isola di coloro che il mare, che l’anima percorrono, isola per sempre postuma e ogni futuro anticipante. Ancoraggio delle galere, delle triremi, trasporti di truppe e di schiavi, delle navi dei pirati di ogni tempo. Predoni di mare, terragni vi portarono la lite velenosa, la politica, un’idea dei Greci, brutalizzata non dai Romani per primi, da populisti, da Soldatenkaiser, finché fin nell’angolo più remoto tutto non fu avvelenato dalla disputa fra partiti, da umana infelicità e dolore. Ingresso anche nell’oltretomba, una di tante su questo mare dove i morti sfiorano i viventi. Pensa al Tuffatore di Paestum – il salto dallo scoglio una festa del mondo di qua, un rituale in memoria dei per sempre banditi. Isola del ritorno, spugna di lava che tutto assorbe dove sta memoria – il mantra. Nessun ricordo svanisce, nessuno degli ideali per cui vale la pena di morire. Isola delle donne esiliate, sole fra nemici, vittime di Roma nella roulette matrimoniale dei cesari. Più tardi parcheggio per anarchici, comunisti e ogni sorta di agenti della rivoluzione. Pandataria, ruvida utopia, luogo di umiltà, campo di internamento, mensa dove i perdenti imparavano a saltare il fosso, a far passare un manifesto. Isola del passaggio, scoglio di sosta nelle tempeste invernali, frangente di primavera, per ultimo culla d’Europa.
4 Insel der Meeres-, der Seelen- wanderer, Insel für immer postum und jeder Zukunft voraus. Ankerplatz der Galeeren, Trieren, Truppen- und Sklaventransporter, der Piratenschiffe aller Zeiten. Seeschäumer, Landtreter brachten den Zank herüber, die Politik, eine Griechenidee, brutalisiert nicht erst von den Römern, von Populisten, Soldatenkaisern, bis in den letzten Winkel alles vergiftet war von Parteienstreit, von Menschenunglück und Leid. Einstieg auch in die Jenseitswelt, eine von vielen an diesem Meer, wo die Toten die Lebenden streifen. Denk an den Taucher von Paestum - den Sprung vom Felsen eine Feier der Diesseitswelt, ein Ritual im Gedenken an die für immer Verbannten. Insel der Wiederkehr, Schwamm aus Lava, der alles aufsaugt dove sta memoria - das Mantra. Keine Erinnerung vergeht, keines der Ideale, für das zu sterben sich lohnt. Insel der verbannten Frauen, allein unter Feinden, Roms Opfer im Heiratsroulette der Kaiser. Später Parkplatz für Anarchisten, Kommunisten und alle Arten von Agenten der Revolution. Pandataria, rauhes Utopia, Demutsort, Internierungslager, Kantine, wo die Gescheiterten lernten, über Gräben zu springen, ein Manifest auszuhandeln. Insel des Übergangs, Interimsfels in Winterstürmen, Frühjahrsbrandung, Wiege Europas zuletzt.
6 POLVERE DI POLLINI, POLVERE DI TEMPO Schiuma di fioritura oltre gli steccati: sciami intorno ai calici dai quali un carillon di campane a molte voci sale e scende le colline. Il gran caldo cova frutti dolci, pesche, fichi, meloni. I libri che vengono letti ora quasi si sfogliano da soli, ognuno parte di una Georgica. Leggere è guardare, è imparare a vedere attraverso polvere di pollini, polvere di tempo, sonnolenti nel ronzio delle api.
6 Blütenstaub, Zeitenstaub Blütenschaum über den Zäunen: Ein vielstimmiges Glockenläuten aus umschwärmten Kelchen läuft die Hügel hinauf und hinab. Die Hitze brütet Süßfrüchte aus, Pfirsiche, Honigmelonen, Feigen. Bücher, die jetzt gelesen werden, blättern sich wie von selber auf, jedes Teil einer Georgica. Lesen ist Schauen, ist Sehenlernen durch Blütenstaub, Zeitenstaub, schläfrig vom Bienengesumm.
Fazit, come direbbe Grünbein, o in conclusione, come diciamo noi: queste sono quattro poesie su centotrentotto (e io non le ho nemmeno lette tutte); non è detto che siano fra le più rappresentative, né fra le migliori; inoltre, chi legge in italiano deve sempre fare la tara della traduzione. Però, anche con tutte le cautele del caso e l’ammirazione per la bravura del poeta laureato, mi pare si possa dire che l’accusa di banalità, sollevata da una parte della critica, non è del tutto ingiustificata.