
Come ci raggiungono, noi che siamo solo lettori, le parole di un poeta, di uno scrittore? Poiché sono scelte e organizzate con giustezza riescono ad agganciare e trascinare con sé intere parti di realtà, esterna o dell’anima, e noi a quelle le riconosciamo – le parole alle cose e le cose alle parole. Come se emergessero dopo un percorso sotterraneo con un ricco bottino, sconosciuto eppure familiare.
Ma come raggiungono, le parole di un poeta, un altro poeta? Qualcuno che le vede farsi nel percorso sotterraneo, che è intimo della zona d’ombra dalla quale per noi, semplicemente, emergono? Come appare un poeta al confratello? Quale immagine ce ne verrà, in parte nota, in parte sorprendente e sorprendentemente calzante?
Un contributo autorevole alla riflessione ci viene da tre componimenti di Antonio Sagredo, che Dalla mia tazza di tè è felice di presentare e che incastonano “due Giacomi” (Joyce e Leopardi), J.L. Borges e Guido Gozzano:

Ai due Giacomi L’Apollo di Lissa io degusto con Stephen. Dedalus d’aromi e linguistici suoni, quanti misteri d’Irlanda io compresi sotto i portali di scoperta e la famosa torre che non vidi mai? Ma la statua dell’anima nell’unica città dov’io mescendo sangue vivrei in contumacia e con lei nel bordello, lì, con pensili pensieri e lingue a due passi tra oscure selve e cosce di linguaggi. Sotto il pontecanale forse c’è un’anima seconda, la penna e la stampa che Guttemberg sbalestra a ogni bivio trivio e quadrivio tra archi di trionfo - e dei due Giacomi mangiagelati quale l’ottimista dell’infinito che è dato, e che non possiamo eliminare? a.s. Roma, 11 aprile 2012

Congetture di Borges Spade, coltelli, specchi e miti sono le tue solite bardature, come un antico cavaliere errante gioisci per un evento strano. Il tempo e lo Spazio, il Suburbio sono la Cabala della tua amicizia. Sogno che ride dei tuoi pianti, dei facili entusiasmi, dei lamenti dei tuoi occhi corrosivi! Congettura eterna è il tuo segreto strano. Muovi la penna per cose ignote, ti diverti con le parole, e la ragione come un’arte antica, una fede, un artigiano. a.s. Roma, 3 luglio 1976

Produttore di carta straccia (a Gozzano) Guido mi felicito con Te perché non hai una corazza esangue e sei solo un produttore di cartastraccia per una signorina che non amavi affatto… e non l’amavi per un rimpianto acerbo, né per altro dissentire dalla sua voce la finzione di un falsetto. E hai messo sottaceto il cuore e in formalina il suo lacrimare quando più o meno tardi scopristi la rossastra ironia della Tua gola, e cantavi all’alba scellerata gli occhi dal rifugio di una Speranza! Due strade e due talismani per un errore di principessa! Aspiravi agli aromi del caffè, non ai versi e ai colloqui di Arianna! E la cucina si rivestiva di fiammingo per una cocotte di Maddalena quando Pinocchio fiutava allo specchio le cosce della marchesa! E come un reduce dagli stermini pensavi all’oscena Ketty tra i saloni tisici della villa di Meleto… e qui sognavi di Amalia l’ultima traccia, un altare del passato e le soglie e i gradini, e non pensava lei a Federico - mai per le collane di falso lauro! ma alle bacche del tasso e al liberty d’armille e ai ceri spenti. Guido, hai mancato gli anni del Cristo per solo un anno! Per una manciata di mesi hai evitato l’Imitazione! Non ti sarebbe piaciuta questo genere di Felicità! Ma non sei già stufo del tuo sboccato sangue? a.s. Maruggio/Campomarino, 28 giugno 2012

Questi tre “ritratti” fanno parte di una galleria significativamente intitolata 80/90 Autoritratti, che uscirà alla fine dell’anno e già nel titolo indica una sovrapposizione e – almeno momentanea – identificazione di due esperienze: dell’autore e dell’artista rappresentato. Nel senso, credo, in cui Proust parla della visione individuale che l’artista trasferisce perfettamente nell’opera, la quale diventa così luogo noto, esplorato e percorribile da altri nell’immenso Atlante del mondo esperito. E dell’Atlante la poesia di Sagredo ha almeno un tratto rilevante: l’importanza che vi rivestono i luoghi – luoghi reali che diventano luoghi dell’anima, che riflettono altri luoghi trascinando con sé il lettore nella scoperta e esplorazione. Qualcosa del genere accade qui nella prima lirica, Ai due Giacomi, in cui dai luoghi reali – Dublino, Trieste – viene estratta la quintessenza di un luogo biografico e ideale, fatto di esperite lingue, selve e “cosce di linguaggi”, da cui i due Giacomi si sporgono verso “l’infinito che ci è dato”. O come accade con i luoghi, rigorosamente letterari e ricorrenti, fra cui Borges “muove la penna”, con la fede imperturbabile di un artigiano. E se il Produttore di carta straccia sembra costringere al ripasso puntuale di qualche testo gozzaniano, anche senza ripasso apprezziamo il ritratto di un poeta che si è fatto crepuscolare per voto e che fra le buone cose di pessimo gusto ha infilato anche una tal Signorina che non amava affatto; poiché nella cucina che “si rivestiva di fiammingo” secondo gli ingenui colori del di lei viso, il poeta/Pinocchio fiuta invece “allo specchio le cosce della marchesa” che ha visto, dipinta sulla tela enorme, relegata in soffitta, e che sola è in grado di farlo sussultare: “bianca bella così che sussultai, / la Dama apparve nella tela enorme“.
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Antonio Sagredo (pseudonimo di Alberto Di Paola) è nato a Brindisi il 29 novembre 1945; ha vissuto a Lecce e dal 1968 a Roma dove risiede. Ha pubblicato le sue poesie in Spagna (Testuggini (Tortugas) Lola editorial 1992, Zaragoza; e Poemas, Lola editorial 2001, Zaragoza) e su riviste italiane e straniere. Slavista di formazione, è autore di saggi critici usciti su diverse riviste. Ha curato (con diversi pseudonimi) traduzioni di poesie e poemi di poeti slavi, fra cui ricordiamo almeno le poesie di Pasternàk dal romanzo Il dottor Živàgo, che si possono leggere qui e qui.
Belle le domande che poni e le risposte offerte attraverso i tre componimenti di Sagredo, poeta che, come osservi tu, definisce il suo sentire riportando sulla superficie del testo luoghi, dettagli, figure, quasi a voler comporre medaglioni in cui fissare in forma nuova i tratti noti di esperienze umane e letterarie precedenti.
p.s.
Ho visto la torre Martello anni fa. In quella circostanza appresi che Joyce aveva lì temuto di perdere le penne ( tutte non solo quelle con cui scriveva ). 🙃
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Perdere le penne? Non ci arrivo…
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Volevo dire “rimetterci le penne’. Scusami, a volte riscrivo a modo mio espressioni idiomatiche
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Ci potevo arrivare. Ma ho temuto che ci fosse sotto qualcosa di freudiano che non vedevo. Non sono molto ferrata su Joyce 🙂
Da adolescente, pur senza capirli bene, avvertivo il fascino e una certa consonanza con Dedalus e i Dubliners (fondo cattolico comune, senso di gabbia), ma l’Ulisse non mi ha entusiasmata. Non sono mai riuscita a andare oltre le prime duecento pagine. Non per la difficoltà, credo, ma proprio perché non è il mio. Però la torre Martello la ricordo come un capitolo affascinante – forse per la torre, forse per Dedalus…
Sagredo è poeta ricchissimo e oscuro, anzi rutilante su fondo oscuro. Chiede molto al lettore, ma è generoso di barbagli di gemme. Le sue poesie dovrebbero essere provviste di note. Qualche volta lo fa, es. qui: https://neobar.org/2021/03/31/antonio-sagredo-elegia-viola-per-annita/ (dove il sito NEOBAR non si nomina da un edonistico bar, ma da “barocco”.)
Grazie della lettura e del commento 🙂
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Ho letto l’Ulisse nel 2012. L’ho letto interamente perché volevo arrivare fino alla fine del “viaggio”. Leggere l’Ulisse è effettivamente un’odissea e richiede dedizione e tempo, molto tempo. Offre però di tutto: sorpresa, a volte incanto, ma anche nervosismo ( tantissimo ), stordimento, ritmi a volte frenetici, a volte tanto diluiti da rendere illusori i movimenti descritti nella pagina. Joyce sperimenta, si cimenta con stili diversi. E’ un’avventura dell’autore e del lettore.
Ho visitato il sito NEOBAR e ho letto l’Elegia. Scorrendo le parole, passando da un’immagine a un’altra, ho pensato a come l’esternazione di emozioni segrete da parte di un autore possa aiutare il lettore ad attivare un processo liberatorio simile. Ho visto che l’Elegia è infarcita di citazioni. C’è bisogno di appigli e appoggi quando si affrontano temi quello della visione cruda della morte.
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Sull’Ulisse: si vede che sei una lettrice seria. Io sono più genere dilettante. Che traduzione hai letto? (Non dirmi che hai letto in originale…!)
Su Sagredo: il ricorso frequente a citazioni/allusioni/rimandi letterari e culturali in genere, oltre che a rimandi biografici non decodificabili, è un po’ quello che viene rimproverato a Sagredo, quello che fa la sua “oscurità”. Lui però è insensibile a questo tipo di critiche, va per la sua strada che attraverso le immagini, anche quando rimangano enigmatiche, mira alla suggestione. Sicuramente è un poeta che chiede parecchio al lettore.
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Parlo come chi ne ha assaggiato solo un cucchiaino (la mia prima impressione, una trentina di versi complessivamente), chiedo scusa in anticipo: bollore e vibrazione e neanche una doccia gelata?
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Non so perché, il tuo commento non compariva.
Ma fammi capire: la doccia gelata potenzierebbe il benessere psichico – genere sauna?
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Un continuo crescendo che alla lunga stanca e confonde. Un tono aulico anacronistico, se si vuole, che sembra esaurire le possibilità. Troppo sentimento? O sentimento poco educato? (Scusa questo tono delfico, ma continuo a riflettere sul pochissimo che conosco e non mi viene il ragionamento.)
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Credo che l’impatto delle immagini e il ritmo prosodico dovrebbe produrre l’impressione estetica; e la ricchezza dei rimandi e delle allusioni creare la rete concettuale. Quando parli di sentimento eccessivo e poco educato ti riferisci al poeta? E’ poesia barocca: l’eccesso è nello stile, e (quella che a te pare) una insufficiente regolazione del pathos pure. Non è ancora passato per la doccia gelata dei Lumi.
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Il commento non compariva, credo, perché ho usato un browser diverso.
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Leggerò (fra parentesi, confesso di non conoscere la poesia barocca, se i “Sonetti” di Shakespeare non entrano nel conto).
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Be’, sì, Shakespeare entra nel conto. Secondo me si vede anche nei sonetti, ma nel teatro è un’esagerazione e un’implausibilità dietro l’altra, e hai voglia i crescendo. Ovviamente Sagredo non scrive come uno del Seicento, si tratta di un atteggiamento di base che, in sé, può piacere o dare sui nervi.
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Il signor Pierluigi Rossi ne deve mangiare di fieno o bere fiele finoi a morirne…
il linguaggio della critica letteraria non s’addice a questo signore…
non comprenerà mai alcun verso di qualsiasi poeta (a meno che non sia LEGGERO”, quindi inarrivabile per me) e tanto meno il mio, che bisogna di altro tipo di cerebreo.
adieu A. S.
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