
Sempre dalla raccolta Fremdwörterbuchsonette di Ann Cotten (v. post precedenti, traduzione mia):
31 Heimat, Assunzione di falsa identità Uomo che siano, o donna, sono stesi sopra le colline, short of amorfi, in queste versioni dell’oscurità, nell’ombra delle loro ali. Così riposano colombi sull’asfalto e vivono sull’asfalto e si risparmiano. Solo a una fantasia verrebbe in mente di riconoscerli dalle forme del loro sonno. Di chiamarli intimi però mai e poi mai più che per il battere di palpebra di una notte; e come anche? poiché passano sempre, e vanno. Se l’oscurità gioia conosce, ride però la notte nel trascorrere: e infatti il sesso schiva dapprincipio la gioia, si risveglia da lunghe tratte di sonno soltanto alla voce che si trovi al termine del viaggio il fondamento. Al suolo del sonno strappati con un salto, saggi per ora ed esitanti i piedi piede non mettono su onde sì ingannevoli, che poco fa ore fa ancora prima simulavano familiarità. Nella cui illusione viaggiando ci si cullava e quasi ci si sarebbe presi per amante, che ha diritto d’ingresso in questa terra, anche solo con l’occhio mutando forme, secondo arbitrio interpretando, innamorati e vaghi collegando rilievi in dune d’altra figura, a vista d’occhio perdendo stabilità, whatever, sempre avanti, mentre da queer, se vicino, se lontano, sempre più in là volasse.

Sul titolo (nell’originale: Heimat, Impersonation): Heimat, che non abbisogna, credo, di traduzione, è la terra natale, un vocabolo carico non solo di associazioni, esistenziali e letterarie, ma di stratificazioni geologico-sentimentali. Comporta l’idea del noto, familiare, intimo, che da qualche parte esiste e resiste nell’attesa di accogliere l’io nella sua vera casa. Nel titolo, ‘Heimat’ è abbinato a ‘impersonation’, parola inglese che significa ‘imitazione’ – nel senso ad esempio degli imitatori di personaggi famosi –, ma indica anche lo spacciarsi per qualcun altro, assumere un’identità altrui per scopo di inganno, una specie particolare di simulazione. Tutto il doppio sonetto è giocato sull’ambiguità di familiare/illusorio, intimo/estraneo, autentico/simulato. A nulla di quello che incontriamo apparteniamo veramente, così come nulla appartiene veramente a noi, alla nostra sfera. La Heimat è un’illusione con cui siamo tentati di giocare mutando, spostando, ricollegando linee. Ma non ha nulla di autentico; anzi, proprio perché l’autenticità non esiste, la Heimat non può esistere. Poiché, per la bilingue Cotten e non solo per lei, non c’è veramente lingua materna, lingua e cose non si toccano ma rimangono parallele, la corrispondenza è artificiale e arbitraria; e se questo priva del conforto della familiarità e intimità, assicura invece la possibilità del volo. Non eroico (nulla che vada oltre la banale tragicità del quotidiano) – ma al riparo almeno da cadute rovinose.
Se fra chi mi legge ci fosse qualche germanista o germanofilo, lo pregherei di dirmi se la mia traduzione gli pare sostanzialmente corretta, in particolare dalla seconda quartina del secondo sonetto alla fine. Grazie.
Ti seguo affascinata ma, lo confesso, senza le tue aggiunte non sarei riuscita a cogliere il senso… più o meno implicito di questo doppio sonetto.
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Tranquilla: quando mi è arrivato il libro e l’ho aperto, mi sono chiesta se era scritto in tedesco o in una lingua simile al tedesco, ma a me sconosciuta. Ci sono entrata piano piano, con molta fatica. Per capire (più o meno) un sonetto ci vogliono circa due giorni di applicazione seguita. Tradurli è un lavoraccio, e il risultato comunque qua e là (o magari anche in toto) insicuro.
Però non è che lo faccio per farmi del male. Trovo che ci sia qualcosa di interessante in questo approcciare la vita – con un certo distacco quindi – a partire dalla lingua e non viceversa. Non che sia un brevetto di Ann Cotten. In Italia lo fa anche Magrelli, se non sbaglio, e da prima. Ma a me piace come lo fa lei, con questo partito preso della difficoltà che crea però certi effetti, un certo risultato…
Adesso sto leggendo anche una raccolta di racconti, più leggibile dei sonetti ovviamente, ma comunque non facilissima appunto per le prospettive inedite, spiazzanti da cui si fa il racconto. Mi piacerebbe poi parlarne, se riesco.
Grazie della lettura e del commento (e aspettiamo manifestazioni dal blog…)
Un abbraccio 🙂
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