
L’antefatto è il saggio di Walter Siti Contro l’impegno, di cui ho parlato qui. Siti critica una letteratura che punta al raggiungimento di qualche tipo di effetto – terapeutico, sociale, politico – senza tener conto che il medium in cui vuole muoversi – la letteratura appunto – ha un’essenza e caratteristiche sue proprie che non possono essere ignorate in nome o con la scusa della “bontà” dell’effetto perseguito. Con questa tesi, e con la critica conseguente, mi sono trovata d’accordo. Tuttavia, che qualità debba possedere l’opera per centrare il bersaglio della letteratura rimane nel saggio abbastanza generico e gli esempi, soprattutto contemporanei, scarsi. (Continua qui..)
Il link a Poliscritture non funziona, forse è da cambiare con questo: http://www.poliscritture.it/2021/07/27/due-scrittori-sitiani/
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Grazie Alessandro, ho corretto!
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Prego e, come sempre, grazie a te per questo nuovo pezzo così preciso e approfondito.
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Ho letto il libro di Walter Siti (proprio spinto dall’analisi letta su questo blog) e concordo in pieno con il giudizio dato in questo articolo. Mi aspettavo di più, più incisività più “scavo” nell’analisi, più orientamento nelle valutazioni espresse.
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Mah, Siti si è accomodato benino nel tran tran cultural-editoriale italiano, di certo non è una voce di rottura e nemmeno una voce dal timbro robusto. Il saggio per me aveva il merito di cercare un discrimine fra letteratura e “qualcos’altro di scritto” che troppo facilmente viene inglobato nell’ambito letterario perché lusinga il lettore e lo fa sentire “dalla parte giusta”. Quando però deve dire – e ammetto che non è facile – che cosa allora è letteratura, non propone molto più di vaghe banalità, purtroppo.
Grazie della visita e del commento 🙂
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Grazie a te della risposta, Emma. Mi spiace non aver trovato nella lettura del libro quell’unghiata (non è facile è vero, ma si può) che ti fa dire ecco il sangue che cercavo. E invece cosa trovi ? Un elogio sperticato di Saviano!
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Di Saviano non conosco niente e non leggerò mai niente. Per me, è uno di quelli per cui vale il famoso “non l’ho letto e non mi piace”. E avrei preferito anch’io una decisa stroncatura. Così come non capisco cosa ci trova Siti in Veronesi. Io credo che apprezzi dettagli retorici (in senso neutro, da analisi del testo) a cui io non bado tanto, ma che perda un po’ la visione dell’insieme, la rilevanza storica e globale. Questo detto da lettrice “privata” e non-accademica.
(Mi chiamo Elena, ma Emma è un nome bellissimo!)
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La tua risposta Elena (è un nome più bello di Emma, anche nella memoria!) mi conforta, perché giunge da persona colta e addentro alle umane cose letterarie. Guardarsi intorno e udire osanna a chi di letteratura ha solo assaggiato la sciacquatura dei piatti (dico anch’io da lettore e non da accademico – non essendolo) si rischia di ritenersi antiquato, emarginato in un pensiero che altri con carità definirebbero aulico. Grazie infinite e buona giornata.
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Il colibrì (…il librettino, non l’uccellino) l’ho trovato a tratti noioso: forse perché la stessa “borghesia” (archetipica) che Veronesi tratteggia è essa stessa noiosa? Ad ogni modo, grazie per l’analisi anticipatami in altra nostra comunicazione. Cordialità!
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Per come la vedo io, la borghesia tratteggiata da Veronesi è un residuo indigeribile (per quanto ancora massiccio), che galleggia sulla superficie della contemporaneità come le tonnellate di plastica sulla superficie degli oceani.
Grazie a te per la lettura e per il commento!
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