
Questa è la poesia che chiude la raccolta Australien di Jan Wagner (Berlin Verlag 2010):
australia cominciammo a mezzogiorno: dove il ponte si perdeva nell’incolto, da lontano l’autostrada; attraverso un caleidoscopio di cocci di bottiglie, un radicato intreccio di gramigna e vecchi tappeti; nascosti dietro al fiumiciattolo, il tubo di scarico con la sua biblica oscurità e per tutta predica il rivolo modesto. scavammo, dietro cespugli di biancospino, dietro la colonia di canne, la paleontologica carcassa d'automobile ingoiata dalla melma come un fossile. un pallone aero- statico passò temerario di là dall’abitato con una pubblicità di birra o marmellata, e tutt’intorno le sanguisughe nero- lucido di vecchi pneumatici, gonfi di fango e acqua piovana, le latte di pittura sfondate e abbandonate. noi scavavamo; un grillo si zittì e una coppia di merli saltellò nervosa intorno a un rastrello arrugginito, l’artiglio di un uccello più grande. quanto ancora, prima che ci trovassimo alle prese con la roccia, con strati di carbone e minerali ferrosi? quanto ancora, prima che da qualche parte un koala sentisse smuovere la terra, per poi vedere qualcosa di strano: un buco nel terreno, due ragazzini impiastricciati che provarono a contare fino a dieci, poi scomparvero nel mito della sera giallo-senape, dove stava piantata una vanga sul bordo come un’asta di bandiera.
australien wir fingen mittags an: wo sich die brücke in die brache verlor, von fern die autobahn; durch ein kaleidoskop zerbroche- ner flaschen, ein wurzelwerk von quecken und alten teppichen; versteckt hinter dem flüßchen, dem abwasserrohr mit seinem biblischen dunkel und dem schlichten rinnsal, das es predigte. Wir gruben, hinter weißdornbüschen, der kolonie von schilf, das paläon- tologische autowrack, wie ein fossil von lehm verschluckt. ein fessel- ballon mit seiner werbung für bier oder gelee zog kühn jenseits der siedlung vorüber, und ringsherum die glänzend schwarzen egel entsorgter reifen, vollgesogen mit schlamm und regenwasser, die farbkanister, zerschlagen und liegegelassen. wir gruben; eine grille verstummte und ein amselpärchen hüpfte nervös um einen rostigen rechen, die größere vogelkralle. wie lange, bis wir es mit felsen zu tun bekommen würden, kohle- flözen und erz? wie lange noch, bis irgendwo ein koala die erde sich bewegen spürte, um etwas seltsames zu sehen: ein loch im boden, zwei verschmierte jungen, die bis zehn zu zählen versuchten, dann verschwanden in dem mythischen, dem most- richgelben abend, wo am rand ein spaten steckte wie ein fahnenmast.
Cominciamo a scavare.
(Per informazioni su Jan Wagner e altre poesie: qui, qui e qui.)
Tra mezzogiorno e il tramonto (della vita per ricordare).
Ha già scavato Jan, e una vanga/bandiera per segnalarlo. Molti anni indietro, ed erano almeno in due, amici. Australia come miniera, sia a cielo aperto sia del profondo, del passato. Resti e roccia ferrosa. Tanto è, a guardare indietro, e dentro.
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Sì, ma i ragazzini ci arrivano in Australia. Perché no? Yes I’m goin’ to Carolina in my mind!
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Infatti Jan era ragazzino… ma scrive dopo mezzogiono. O no?
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Be’ sì, quando scrive ha passato il mezzo del cammin. Però io non ho avuto l’impressione (questione di impressioni, non c’è nulla che decida in un senso o nell’altro) che parlasse del suo passato. Mi è sembrato che parlasse di due ragazzini che hanno fatto una cosa che può essere sempre rifatta. Tanto più che i luoghi come quello descritto non mancano. Poi fra la terzultima e la penultima strofa c’è un cambio di modi/tempi verbali che nella traduzione sparisce un po’: quanto tempo ancora prima che ci trovassimo… (futuro ipotetico, congiuntivo); ma dal koala in poi i verbi sono all’indicativo preterito, cioè cosa avvenuta realmente. Cioé: prima i ragazzini si chiedono quanto tempo ci vorrà prima di arrivare (eventualmente, ma il lettore sa che è una fantasia di bambini) ai giacimenti di carbone; poi il poeta si chiede quanto tempo c’è voluto, prima che un koala sentisse ecc. (ma nella realtà dell’indicativo). Io non credo che Wagner veda la faccenda dalla prospettiva dell’età di ragione (e rassegnazione), ma piuttosto come una possibilità sempre aperta. Poi naturalmente lui è tedesco, quindi o di drif o di draf un nipotino di E.T.A. Hoffmann, di quelli che si conquistano un feudo in Atlantide…
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A me è solo sembrata, a un certo punto in cui scrivevo, una riflessione sulla forma/materia del ricordo, soprattutto nella opposizione tra la miniera di resti abbandonati a cielo aperto e l’intenzione di arrivare alla roccia e alla fermezza del ferro. Raggiunta per altro, se no, come si può ancora andare avanti?
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Ok. Diciamo che io ero rimasta alla superficie della lettera. E’ l’adolescente che c’è in me 🙂
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