Buffoni e il coming out postumo. (Su Franco Buffoni, SILVIA È UN ANAGRAMMA)

(Articolo originariamente uscito sulla rivista on line Poliscritture)

Koma ut. Agli inizi del X secolo dopo Cristo molti Norvegesi, piuttosto che sottostare alle pretese centralistiche del re HaraldrHárfagr, preferirono abbandonare la patria ed emigrare nella selvaggia e inospitale Islanda. Il fenomeno si chiamò koma ut (letteralmente “venir fuori”).

Fra il XIX e il XX secolo l’espressione coming out – precisamente la stessa – è stata ed è tuttora usata “per indicare la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale” (Wikipedia)– ovviamente quando si discosti da quello che ci si aspetterebbe di default. E non è detto che abbia richiesto, e in determinati contesti ancora richieda, minor coraggio e determinazione che non l’imbarcarsi su una nave vichinga alla volta dei ghiacci di un’isola lontana.

Nel passaggio dal significato 1 al significato 2 si può leggere idealmente la transizione, durata secoli, da un’antropologia dominata dall’idea di collettività e delle regole atte a mantenerla, a un’antropologia centrata invece sul singolo e sui suoi imprescindibili diritti.

Il libro di Buffoni è una richiesta di coraggio e determinazione, un’esortazione al coming out, a sollevare il velo sulle varianti naturali dell’orientamento sessuale, e questo non solo per franchezza e rifiuto dell’ipocrisia, ma come propedeutico a una nuova normalità in cui l’orientamento sessuale non sia attribuito d’ufficio sulla base del certificato di nascita, ma il risultato di una libera e autonoma presa di coscienza di sé e del proprio desiderio (quando non sia, come appare verosimile in tempi recenti, un prodotto della libera creazione del sé). Quando questa nuova normalità sarà pienamente raggiunta, i traumatismi rivoluzionari del coming out saranno superati e obsoleti.

Ancora però non lo sono, e non bastando l’esortazione al presente, Buffoni scava negli ultimi due secoli alla ricerca di coming out possibili, probabili, fortemente o labilmente indiziari, li promuove alla luce, o anche li estorce a chi non ha voluto, o potuto, farli. Questa, in sintesi, l’operazione – lodevole negli intenti, non sempre convincente nel metodo e nei presupposti.

Prose saggistiche. Su “Nuovi Argomenti” una scelta di estratti è così brevemente introdotta: “Silvia è un anagramma è un libro di prose saggistiche di Franco Buffoni”. La definizione è corretta. Le prose, di varia lunghezza e liberamente collegate per analogie, coincidenze temporali, affinità e opposizioni, sono raggruppate in cinque sezioni, tre delle quali più o meno monograficamente dedicate ai personaggi che vediamo in copertina: Leopardi, Pascoli, Montale. Al di là della ripartizione in sezioni tuttavia mi pare che si possano distinguere tre nuclei fondamentali, abbastanza fluidi e intersecantesi ma comunque riconoscibili: uno studio biografico su Leopardi essenzialmente basato sulle lettere del poeta a Ranieri; un martirologio; la questione del neutro accademico eterosessuale.

Martirologio. Il martirologio è efficace e convincente. D’altra parte ogni collettività, variamente individuata, ha il suo, ed è caratteristica dei martirologi l’essere retoricamente, quindi emotivamente e persuasivamente, efficaci e convincenti[1].

Leopardi. La tesi dello studio biografico su Leopardi è che egli sia stato “quasi certamente” omosessuale. Le citazioni dalle lettere a Ranieri sembrerebbero sostenere la teoria; altre considerazioni (perché non si è sposato – lui, il figlio del conte Monaldo, in un’epoca in cui i matrimoni erano un fatto di interesse e accordi fra famiglie? Perché, invece di star lì a lamentarsi, non si faceva le contadine di suo padre?) molto meno. Del resto, la vera o presunta omosessualità di Leopardi potrebbe esserci indifferente. Ma non lo è stata a lui, direbbe Buffoni. Ci stiamo spostando in zona martirologio? O il punto è un altro, il punto è che l’omosessualità è la vera scaturigine della poesia e della filosofia leopardiana? Che Dio non esiste, per parafrasare Tommaseo, non perché le petit comte è gobbo, ma perché è omosessuale in un contesto in cui l’omosessualità non è un’opzione? In altre parole, qual è l’importanza della (corretta) biografia per l’opera?

Ovviamente sarebbe assurdo sostenere che la vita dell’autore, la sua individualità empirica, rimanga al di qua di un’ipotetica barriera che la separa dall’arte, dalla produzione dell’arte; ma già quando si passa a considerare la fruizione il discorso si fa parecchio più sfumato.

Per giustizia biografia è il sottotitolo del libro di Buffoni. Che l’esercizio di giustizia biografica si applichi esclusivamente a scrittori e intellettuali è dovuto al fatto che “purtroppo non si hanno le testimonianze degli operai gay, dei fattorini gay, ma solo degli scrittori gay. O almeno di quel poco che hanno lasciato”. Sembrerebbe quindi che a determinare la scelta sia un fattore esterno e accidentale: la presenza o assenza di documenti. Ma mentre, anche in presenza di documenti, il lavoro di ricerca su operai e fattorini sarebbe rimasto circoscritto alla biografia, è evidente che con gli scrittori esso si allarga inevitabilmente all’opera, dando origine a una certa ambiguità di cui Buffoni è consapevole, tant’è vero che ripetutamente si interroga o interroga altri sull’importanza della biografia per l’opera – nel senso della produzione, certo, ma anche di una corretta fruizione e interpretazione.

Torniamo a Leopardi e facciamo un esperimento sul campo. Ammetto che il campione è esiguo, essendo costituito unicamente da me; ma garantisco la maggiore obiettività possibile. Dunque, dopo aver letto il libro di Buffoni riprendo in mano il ciclo di Aspasia, dietro cui si celerebbe Antonio Ranieri. Le pur scarse note di una vecchia edizione tascabile indicano ripetutamente, come ispiratrice del ciclo, la nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti. A riprova dell’efficacia della scrittura di Buffoni, a ogni menzione del nome sobbalzo come per un’indecente impostura. Quando però cerco di analizzare la reazione, scopro che è la versione esacerbata di un fastidio preesistente – preesistente alla lettura di Buffoni e a ogni suggestione di omosessualità leopardiana. Un fastidio che poteva prendere la forma di “Chi è costei? Cosa c’entra? Come si permette di immischiarsi o di essere immischiata?” – e questo non per un pregiudizio idealista, ma perché è la reazione richiesta dal testo – che ovviamente non cambia se al posto di “costei” ipotizziamo “costui”.

Tracce. Nell’opera di Leopardi non c’è nulla che supporti un’ipotesi di omosessualità. Possiamo affermarlo perché, se ci fosse, Buffoni lo avrebbe trovato. Per altri, più recenti poeti, singoli versi e interi componimenti vengono sottoposti alla questione finché non dicono tutto quel che hanno da dire e anche di più. E la corrispondenza privata arriva dove non arrivano i versi. Dopo aver citato stralci di lettere di Clemente Rebora, Buffoni si chiede:

“A quali labbra sta pensando Rebora quando scrive: “…la parola senza bacio lascia più sole le labbra”?”

Posto che non lo sapremo mai, a chi o a che cosa gioverebbe saperlo? Non alla comprensione della poesia (Sacchi a terra per gli occhi), che di questa informazione non ha bisogno. La domanda ha valore di insinuazione, che assieme al detto e non detto delle lettere deve persuadere il lettore dell’omosessualità di Rebora.

Psicologismi. A che pro? Per giustizia biografica – ma la giustizia biografica così perseguita finisce per caricare di psicologia qualcosa – l’opera – che psicologico non si vuole, che si vuole metafisico, dialettico, storico, ma non psicologico – nemmeno nel senso di una sublimazione.

Fare giustizia biografica, vera o presunta, nel caso di uno scrittore, o ha il senso di una resa dei conti postuma (come per Eliot e Montale, presunti omofili-omofobi, omofobi perché omofili), che come ogni sottolineatura delle “cattiverie” dell’autore nuoce più che non giovi all’opera, o comunque, nella ricerca ossessiva delle tracce, finisce per fare grande spazio a dati empirici, spesso incerti, in qualcosa che, quale che sia il punto di partenza, non empirico vuol essere ma sistemico e strutturale.

Travisamenti. Altra cosa naturalmente quando essere a conoscenza dell’omosessualità dell’autore è essenziale per una corretta comprensione del testo, che viene invece consapevolmente travisato per esercizio di censura. E qui Buffoni ci serve il gustosissimo caso di una sua poesia (Rewind) inserita in un’antologia per le scuole medie, il cui curatore, pur di non menzionare l’omosessualità dell’autore, fa dell’io lirico un tifoso dell’Inter.

Come evitare questi e più gravi travisamenti? Buffoni propone, anzi richiede espressamente, che a fianco di ogni nome di autore venga indicato l’orientamento sessuale: Rewind, di Franco Buffoni (omosessuale); L’isola sarà guardata nella sua bellezza, di Milo De Angelis (eterosessuale). Ma a parte che per i poeti defunti e non autodichiarati l’indicazione sarebbe sempre fino a prova contraria e il cartellino necessariamente ballerino, perché non aggiungere altre determinazioni quali tirchio/generoso, socievole/misantropo, malinconico/solare, borghese/proletario  ecc.? Perché, dice Buffoni, la sessualità è centrale per l’identità.

Sessualità. Porre la sessualità al centro dell’identità biografica–operazione che richiederebbe comunque un fondamento un po’ più ampio della semplice citazione da Parise: “Ogni uomo, uno scrittore, un poeta, un artista è quello che è la sua sessualità” –potrebbe essere tuttavia meno dirimente di quanto si immagina Buffoni. Dico questo in un’ottica per nulla passatista. Il + dell’acronimo LGBT+ tende virtualmente all’infinito. Non si tratta più di una sessualità “forte” che incanala la vita in un paio di varianti naturali riducibili alle categorie omosessuale-eterosessuale; ma di una vita (e di una identità) sempre più indeterminata che ingloba una sessualità sempre più accidentale e polimorfa. La delibera dell’OMS che definisce l’omosessualità “una variante naturale della sessualità umana” (17 maggio 1990) arriva tardi; arriva quando già la natura ha perso i pezzi ed è sempre più sostituita dall’artificiale.

Neutro accademico eterosessuale. L’obiettivo più generale di Buffoni è lo smantellamento del “neutro accademico eterosessuale, spacciato per universale” che ancora domina nella critica italiana. Ciò significa il rifiuto dell’ipotesi eterosessuale di default, cioè fino a lampante prova contraria. Buffoni chiede che l’onere della prova passi a carico dell’eterosessualità. Cioè, l’ipotesi ora sarebbe: omosessuale fino a lampante prova contraria. Non è che un ribaltamento di astratta universalità, ma perché no; se da un’ipotesi di default dobbiamo partire, perché non da quella. In effetti non c’è motivo, e bisogna ammettere che il grigiore accademico è positivamente fastidioso e in molti casi sicuramente falsificante. Il problema però è che poi nel libro di Buffoni ci si trova davanti a cose che lasciano un po’ perplessi. In senso argomentativo intendo:

“In conclusione, sull’argomento degli scritti di Leopardi relativi all’omosessualità, oltre ai brani e agli episodi citati [che non dimostrano nulla, n.d.r.], e naturalmente oltre alle lettere inviate a Ranieri, resta il dubbio – avanzato da più parti – che a Recanati ancora vi siano degli inediti giovanili, bloccati dal pudore degli eredi e dall’anelito al neutro grigiore eterosessuale degli accademici.”

Resta il dubbio? E cosa vuol dire? Su quale base viene avanzato il dubbio? Ha senso trattare degli ipotetici inediti leopardiani come il bosone di Higgs?

“Ma il contino Giacomo sorrideva anche malizioso leggendo il contemporaneo commento di Marsilio Ficino al Simposio di Platone e compulsando il Castiglione e il Poliziano: Giove e Ganimede come daddy e twink. Chi sarebbe stato il suo daddy? Forse Adriano, sognandosi Antinoo? Oppure Aristogitone configurando sé stesso come Armodio?

Di certo non ne poteva parlare con il daddy vero, sulle prime fiero poi geloso di lui, delle sue doti letterarie. E nemmeno col fratello Carlo, che aveva in testa solo l’idea fissa delle contadine giovani a carponi. O con Paolina, affettuosa ma troppo intrigante e pettegola. Men che meno con la signora madre marchesa Adelaide …”

Trascinati lungo la sfilza di personaggi con cui il contino Giacomo non ne poteva parlare, dimentichiamo che il ne, il complemento di argomento, ciò di cui il contino non poteva parlare, è una scena nella fantasia di Buffoni.

“Come Pound – suo mentore e ‘miglior fabbro’ aveva capito benissimo (basta saper leggere tra le righe nelle lettere che Pound gli scrive) – il problema di Eliot era di nascondere e possibilmente far sparire ogni traccia della sua omosessualità.”

Il punto non è se Eliot fosse o no omosessuale. Il punto è la frase: “basta saper leggere tra le righe”. Chi sa leggere tra le righe? Chi decide chi sa leggere tra le righe? Perché spesso, a leggere tra le righe, quello che si vede è soltanto il proprio occhio.

“Recentemente, in una conversazione con Milo De Angelis, da sempre grande lettore di Cesare Pavese, mi venne spontaneo suggerirgli: “Non ti è mai venuto in mente che Cesare Pavese potesse essere omosessuale?” “Ma non ci sono evidenze” mi rispose.

Proprio questo è il punto. Mentre se uno è eterosessuale le “evidenze” ci sono sempre, se uno è omosessuale fa di tutto perché non si capisca, perché non si sappia.”

Quindi: se ci sono evidenze che uno è omosessuale, è chiaro che è omosessuale. Mentre se non ci sono evidenze è molto probabile, quasi certo, che sia ugualmente omosessuale.

C’è qualcosa che non va.


[1]È di oggi (13.09.20) la notizia che nel Napoletano una ragazza è stata investita e uccisa dal fratello per punirla del suo orientamento sessuale “deviante”. E poi ci meravigliamo degli islamici.

2 pensieri riguardo “Buffoni e il coming out postumo. (Su Franco Buffoni, SILVIA È UN ANAGRAMMA)”

  1. Ho letto questo pezzo due anni fa, appena pubblicato su Poliscritture. A suo tempo l’avevo trovato un ottimo esempio di critica militante e rileggendolo, adesso, non posso che confermare quel giudizio. L’ultima parte mi ha ricordato un po’, nell’impostazione, la famosa (si fa per dire) stroncatura di Claudio Giunta ai saggi letterari di Agamben, accusato anche lui, in quel caso, di voler spacciare per evidenti delle supposizioni tanto suggestive quanto indimostrabili. Ma sto divagando. Le scrivo per segnalarle una mia piccola scoperta che riguarda lei e Buffoni e che spero troverà, se non divertente, quantomeno curiosa.
    L’altro giorno, non ricordo più il motivo, mi ero messo in testa di cercare delle informazioni sul libro di Buffoni. Ho così scoperto che il Nostro ha un sito e che una sezione di questo sito è dedicata alla rassegna stampa di “Silva è un anagramma” (questo è l’indirizzo: https://www.francobuffoni.it/saggistica/silvia_e_un_anagramma.html). All’inizio della pagina ho trovato tre anticipazioni del libro e i soliti link che rimandano a delle recensioni pubblicate su quotidiani, blog, profili Instagram e chi più ne ha più ne metta. Più sotto, invece, mi sono imbattuto in una lunga sequenza di giudizi entusiastici sul libro. Evidentemente si tratta di citazioni ma non si capisce bene da dove siano state tratte visto che la fonte non viene indicata. In compenso, per ogni citazione, c’è scritto chi ne è l’autore. Perciò l’effetto, leggendole in serie, è quello di una sfilza di potenziali fascette promozionali pronte all’uso (ad esempio: “Ho sempre intuito che la scuola non ci fa capire la verità, imponendoci interpretazioni monche o false. Martino Malgesini”). Fra queste ne compare una a firma di “Elena Grammann”. Appena l’ho scorta, memore del suo pezzo, mi sono stupito e ho pensato che Buffoni, per serietà o per vezzo, avesse deciso di segnalare anche chi lo aveva stroncato. Poi ho letto la frase a lei attribuita e ho avuto un’impennata di ilarità: “Nell’intervista su Silvia è un anagramma concessa a Rairadio3, Buffoni dice che il libro ha il senso di una giustizia riparativa nei confronti di persone che hanno subito un torto, piuttosto che di un contributo alla comprensione dei testi. E certo è inteso nel senso, assolutamente condivisibile, di una normalizzazione delle reazioni emotive di fronte alla non univocità del desiderio amoroso”. In pratica Buffoni (o chi per lui) ha estrapolato da ciò che lei ha scritto una delle poche affermazioni da cui non si evince il suo reale giudizio sul libro; anzi, messa assieme a quel calderone di opinioni entusiastiche, dà pure l’impressione che le sia piaciuto e che ne abbia apprezzato l’impostazione.
    Per amore di precisione: l’affermazione non è stata tratta dal suo pezzo bensì, con qualche con qualche lieve ritocco, da un suo commento su LPLC ad un’anticipazione di “Silvia è un anagramma” (https://www.leparoleelecose.it/?p=38960). La sostanza del discorso, comunque, non cambia, perché in quel commento, così come negli altri otto da lei postati e che nel sito di Buffoni sono accuratamente non citati, quali fossero le sue riserve sull’impostazione del libro era ben chiaro (molto divertente il riferimento alla signora che vede suicidi ovunque). È comunque curioso come Buffoni, che all’epoca si rifiutava orgogliosamente di rispondeva alle critiche dei lettori del blog, tra cui le sue, perché chi le avanzava non possedeva “una bibliografia aggiornata sui temi”, abbia poi cambiato il suo parametro di giudizio. O forse l’aggiornamento bibliografico era doveroso solo e soltanto nella misura in cui si avanzavano delle critiche; il che ha permesso a Buffoni, crocianamente e con la coscienza a posto, di estrapolare dal suo commento quello che gli faceva comodo e di usarlo poi a scopo promozionale (fa un po’ ridere scriverlo ma alla fin fine è quello che ha fatto). D’altronde, forse ha ragione lui. Lei credeva di aver espresso un giudizio negativo ed invece Buffoni, leggendo fra le righe il suo commento come le lettere di Pound a Eliot, ha intuito che si trattava, con ogni evidenza, di un apprezzamento accuratamente velato. Come a dire: Silvia è un anagrammann.

    P.S. Complimenti per il sito. Lo seguo da quattro anni e apprezzo molto la precisione della sua scrittura.

    Piace a 1 persona

    1. Gentile Andrea Scozzari,

      la ringrazio dell’apprezzamento per l’articolo e per il blog in generale: un po’ di feedback fa sempre bene, anzi, potendo, andrebbe assunto in dosi massicce.
      Ho seguito il link che mi fornisce e trasecolo (!) nel vedermi inserita fra i laudatores: un capolavoro di ideale sforbiciatura da parte del Buffoni (o della sua schiera di volonterosi assistenti). Da parte mia, alla fine, una bella risata, in tono con l’espressione sorniona del poeta che ha sempre un po’ l’aria del gatto mammone. O del fine ermeneuta, appunto.
      Nel merito: non ho nulla – e tanto più di questi tempi – contro l’operazione di liberazione, disvelamento e risarcimento morale intrapresa da Buffoni. Moralmente sarei anzi piuttosto a favore, non fosse che è condotta con piglio da partito preso opposto: della serie, se posso permettermi, “se non son froci non li vogliamo”, e allora francamente non vedo il senso di sostituire un’ovvietà pregiudiziale etero con un’ovvietà pregiudiziale omo – per di più con sistemi, come rileva anche lei, assai sornioni.
      Ancora grazie per le sue gentili parole e naturalmente per il link: in un certo senso, spassosissimo.

      "Mi piace"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: