
Ubermuot diu alte
diu rîtet mit gewalte,
untrewe leitet ir den vanen.
girischeit diu scehet dane
ze scaden den armen weisen.
diu lant diu stânt wol allîche en vreise.
L’antica Superbia
cavalca a capo dell’esercito,
l’Infedeltà porta il suo vessillo.
L’Avidità si dà allora alla rapina
a danno dei poveri orfani.
Le terre sono tutte nel terrore.
Non è chiaro se questi versi medio alto-tedeschi di anonimo del XII secolo, forse un frammento, rappresentino un’allegoria degli effetti devastanti della Superbia in campo morale, o se siano invece da intendere in senso letterale come rappresentazione (con personificazioni) delle conseguenze militari e politiche della Superbia nei governanti.
Il capitello del Palazzo Ducale di Venezia riportato sopra è l’unica iconografia che ho trovato della Superbia in vesti militari (con l’elmo cornuto di Satana). Credo di capire che sia una copia ottocentesca: l’originale, rimosso perché fragile o deteriorato, si trova ora nel Museo dell’Opera, all’interno dello stesso Palazzo Ducale. Qui sotto inserisco anche la foto della stessa allegoria in un altro capitello “originale” (alcuni soggetti sono “doppi”):

La didascalia è la stessa in entrambi: superbia preesse volo, voglio essere a capo, quindi voglio governare, voglio comandare (ma letteralmente voglio essere davanti). Anche l’anonimo scultore del XV secolo sembra aver dato un’interpretazione politico-militare della Superbia.
L’interessante della breve poesia tedesca è però il primo verso: Ubermuot diu alte, l’antica Superbia. Perché “antica”? Perché la superbia è il primo peccato, il più antico, il peccato dei peccati, l’origine di tutti gli altri: initium omnis peccati est superbia, dice, nella traduzione di San Girolamo, l’Ecclesiastico (10,15); che da quando è diventato il Libro del Siracide rovescia i termini della questione: Principio della superbia è infatti il peccato (10,13), ma dal momento che il Medioevo dispone unicamente della Vulgata e non si interessa di filologia, si attiene saldamente alla prima versione: la superbia è il peccato originario, il peccato di Adamo, l’origine della caduta, e consiste nel presumere di giudicare da per sé (riguardo alla mela per esempio), invece di aderire ciecamente alla parola del Signore in quanto parola del Signore. È il peccato di Adamo ed era già stato, prima, il peccato di Lucifero: non essere d’accordo, avere da ridire, essere attaccati alla propria idea. Ostinarsi. Per il Medioevo la superbia è il peccato ideologico: il più grande dei peccati.
Nella Divina Commedia il superbo in questo senso non lo troviamo nella I Cornice del Purgatorio, dove sono i superbi confessi e pentiti, più propriamente i vanagloriosi, affetti in vita dalla forma più blanda e “mondana” del vizio, bensì nel VII Cerchio dell’Inferno, terzo girone: violenti contro Dio. È Capaneo, il bestemmiatore che, per quanto fuoco piova, non muta atteggiamento:
[…] «Qual io fui vivo, tal son morto.
Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui
crucciato prese la folgore aguta
onde l’ultimo dì percosso fui;
o s’elli stanchi li altri a muta a muta
in Mongibello a la focina negra,
chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”,
sì com’el fece a la pugna di Flegra,
e me saetti con tutta sua forza,
non ne potrebbe aver vendetta allegra». (XIV, 51-60)
Tanto che il buon Virgilio perde le staffe:
Allora il duca mio parlò di forza
tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:
«O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
la tua superbia, se’ tu più punito:
nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
sarebbe al tuo furor dolor compito». (XIV, 61-66)
“La tua superbia”. Il superbo si pone come l’antagonista di Dio; in questo senso egli è il più pericoloso per la comunità. Come dice il Siracide:
Principio della superbia infatti è il peccato;
chi vi si abbandona diffonde intorno a sé l’abominio.
Per questo il Signore rende incredibili i suoi castighi
e lo flagella sino a finirlo. (10, 13)
Questa è l’autentica superbia, la superbia in senso teologico e medievale. L’altra, quella dei pentiti che si affinano nella I Cornice del Purgatorio, è un po’ di vanagloria, difetto da politici e da artisti, robetta da letterati; un non prenderci le misure, non avere il senso della proporzione fra il momento e il secolo, fra il tempo e l’eternità; un difetto eminentemente sociale se non addirittura animale, nel senso che la sua base è il rapporto competitivo con l’altro. Come dice Oderisi da Gubbio:
Ben non sare’ io stato sì cortese
mentre ch’io vissi, per lo gran disio
de l’eccellenza ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio. (XI, 85-88)
“Tal superbia” consisterebbe nella ricerca di un’eccellenza – e, aggiungiamo, nella convinzione di averla raggiunta. Cominciamo ad avvicinarci all’iconografia più diffusa di questo vizio:

O anche:

Elementi comuni alle due rappresentazioni sono lo specchio e il pavone, che sbilanciano il vizio in direzione della vanità. Nell’incisione di Pencz, artista tedesco della prima metà del Cinquecento, lo specchio è ostentato, mentre il richiamo al pavone si trova nell’occhio delle penne che impiumano le ali della figura allegorica (le ali munite di occhi possono contenere inoltre un riferimento alla Fama nella personificazione che ne fa Virgilio nel quarto libro dell’Eneide). Però il cavallo sullo sfondo e l’acconciatura della Superbia, che sembrerebbe un elmo concluso da un corno di montone, contengono ancora un’allusione all’ambito militare e alla guerra (ricordiamo che nei versi citati in apertura la Superbia cavalca alla guerra e travolge tutto davanti a sé). La didascalia non parla però di praeesse, ma di despicere, disprezzare: il superbo disprezza tutti (gli altri), c’è stata un’interiorizzazione, un passaggio dal fuori al dentro, da un comportamento sociale esplicito (es. la guerra) che è la superbia, a un comportamento molto più sfumato che è soltanto il riflesso della superbia come abitudine interiore.
Nella figura di Jacques Callot, di un secolo posteriore, ogni riferimento alla guerra e a un modus bellico e virile è scomparso: il vizio è diventato una questione privata. Privata e imbelle: la sciocchina con lo specchio è una da compatire, tutto fa fuorché paura. Lo specchio si trova in posizione emergente sulla diagonale che parte dal diavoletto e va fino al panneggio fluttuante, la diagonale che costituisce la linea di lettura privilegiata. Avanzando verso e dentro la modernità la superbia, paradossalmente, cala di statura, si infantilizza, si banalizza: diventa narcisismo – un vizio che ci perdoniamo a vicenda.
Si tende a dimenticare che il narcisismo è stato fra le concause di una catastrofe relativamente recente che ha causato cinquantacinque milioni di morti.
Nello specchio ci si perde come Narciso nella fonte. Il narcisismo effettivamente porta a escludere gli altri, a vivere dell’incanto del riflesso; in questo senso finisce per costituire una minaccia per la comunità, sia nella sua forma più blanda, sia in quella più perniciosa, quella stessa che tu hai ricordato in chiusura.
Un caro saluto, Elena e grazie per l’interessante lettura!
🙂
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Grazie a te per la lettura e per il commento e buon fine settimana 🙂
P.S.: il narcisismo è deleterio; salverei l’egotismo letterario…
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Da lettrice, non posso che incoraggiare l’egotismo letterario:-)
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la superbia si confonde spesso con l’arroganza, vanno di pari passo ma c’è comunque differenza. Ho notato che molto spesso i grandi artisti e scienziati non sono né superbi né arroganti. Non è da tutti, ma è bello trovare persone normali anche tra i più grandi. Se invece uno vale poco ma è superbo e arrogante, allora bisogna aggiungere anche la stupidità: questo capita spesso sul lavoro, un capo o un anziano del posto che hanno imparato qualcosa e si mettono subito su un gradino più alto. Alle volte invece non si può dire niente al superbo, tocca stare zitti perché sono davvero bravi…
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E’ interessante questa distinzione di tipi: il grande esente da superbia, il superbo stupido, il superbo bravo. Sono sfumature che andrebbero studiate, soprattutto l’ultima.
Di mio aggiungo un altro tipo umano (a cui io purtroppo non appartengo) che mi ha sempre dato da fare. Non è esattamente un superbo né un arrogante, ma qualcuno che del tutto naturalmente nei rapporti con gli altri si pone un gradino sopra. Lo dico con le parole di La Rochefoucault:
“C’è un’elevazione che non dipende dalla fortuna : è una certa aria che ci distingue e che sembra destinarci alle cose grandi; è un valore che inconsciamente attribuiamo a noi stessi; è grazie a questa qualità che godiamo indebitamente del rispetto degli altri uomini, ed è lei che generalmente ci pone al di sopra di essi più della nascita, delle cariche, e del merito stesso.”
Buona serata e grazie del commento 🙂
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