Walter Siti, Scuola di nudo, Rizzoli, BUR contemporanea, 2014, € 15
Dirò subito che di questo romanzo non ho letto la versione più recente, rivista e scremata dall’autore per l’edizione della Trilogia (Il Dio impossibile: Scuola di nudo – Un dolore normale – Troppi paradisi) uscita per Rizzoli nel 2014, bensì la versione originale del 1994.
Mi sono decisa a leggerlo pur non amando i romanzi dell’abiezione (su questo torneremo), perché di Walter Siti si dice che è uno dei pochi che rimarranno di una fine di XX secolo abbastanza triste. Inoltre, di lui mi piace che non si autopromuove alla maniera fastidiosa di altri.
La sua prosa è letterariamente perfetta. Con questo voglio dire che non è né fintamente letteraria (come accade in autori nei quali è penosamente visibile lo sforzo per raggiungere una dimensione di letterarietà, che gli rimane preclusa perché della letterarietà non hanno idea), né stilizzato al modo di altri i quali, incapaci di uno stile (lo stile non è da tutti), aggirano l’ostacolo elaborando una maniera. Un punto debole potrebbero essere gli inserti lirici (i versi) – in gran parte espunti, a quel che ho capito, dalla versione rivista – e, per i miei gusti, un eccesso di surrealismo nella parte finale (la parte “guatemalteca”).
Sul modo di narrare, quindi, nulla da dire: aderisce perfettamente alla materia e la materia è la vita – il che sembrerebbe banale, ma provate a aderire alla vita senza filtri ideologici né concessioni alla miopia dei lettori, cioè senza luoghi comuni e contro-luoghi comuni, che sono i luoghi comuni alla rovescia e tanto luoghi comuni quanto i primi. Non è facile.
Stabilito questo, che dire di ciò che è narrato? Romanzo di autofiction (il protagonista si chiama Walter Siti ed è un associato in attesa di cattedra, ma è chiaro che non si tratta di un’autobiografia), romanzo-fiume: queste sono un po’ le etichette. Ciò che si manifesta alla lettura è un romanzo al tempo stesso metafisico e psicologico – e aggiungo subito che mi dispiace un po’ che l’approccio psicologico (il ruolo pregresso, illuminato per sprazzi, del padre e della madre carnali), per quanto dematerializzato all’osso, relativizzi l’impianto metafisico. Ho sete di metafisica – dove per metafisica si intende (ed è il caso di specificarlo perché l’ambiguità, ho scoperto, esiste) non un discorso su Dio o sulle realtà inesperibili, bensì un discorso che metta a giorno un’esperibilissima struttura della realtà – che può essere anche psichica, purché vada oltre la psiche individuale e investa una realtà più ampia del soggetto.
È il caso di questo romanzo, per il cui protagonista l’omosessualità diventa la cifra dell’esclusione dal fattuale-positivo: la procreazione (quindi l’essere padre, il legiferare), il successo professionale e esistenziale.
Poiché il tema dell’omosessualità è introdotto, inserisco qui un’osservazione su quelli che chiamo “i romanzi dell’abiezione”. Dall’osservazione discreta di Proust sui “soucis immédiats de propreté” che accompagnano i rapporti omosessuali, passando per Jean Genet in cui il sudiciume materiale e morale è mutato alchemicamente nell’oro della squisita poesia (d’altronde l’edizione del Saggiatore del Diario del ladro è prefata da Walter Siti), l’omosessualità sembra essere il terreno d’elezione della deriva dal genitale all’escrementizio. Una fenomenologia esaustiva del basso ventre, in questo romanzo in cui si tuffano le dita nella cacca come se fosse cioccolata: “Se raggiunge la prostata o la vescica, comunque un bersaglio non erogeno, il piacere è quello di un raschio che fa corrispondere direttamente l’intestino con la trachea. Come quando si sfrega il fondo di una pentola col coltello: una contrazione sgradevole della muscolatura liscia, il conato di vomito di qualcosa che non doveva essere molestato e insieme l’orgoglio d’essersi spinti fin là.”
All’ossessione anatomo-fecale si accompagna la tentazione dell’abiezione morale: il furto, il tradimento, l’abuso di infante, l’omicidio. La tentazione, dico; perché il maltolto, sottratto per amore del gesto, sarà reintegrato nella sua sede, il tradimento lungamente accarezzato non verrà perpetrato, mentre l’infante non mostrerà interesse per il membro offerto. L’omicidio rimarrà l’unica trasgressione reale, ma per una fatalità che è andata di molto oltre l’intenzione, quindi quanto imputabile?
Omosessualità, dicevamo, come cifra dell’esclusione: la contemplazione dei corpi nudi dei culturisti diventa esercizio di estasi gnostica (interessanti, benché fastidiosamente misogini, i riferimenti agli Ofiti nei primi capitoli), impasse di ogni azione e partecipazione, risarcimento estetico fruibile soltanto dagli esclusi. D’altra parte, la passività della fruizione estetico/estatica ha il suo corrispondente narrativo nell’impotenza a penetrare da cui è afflitto il protagonista nella prima parte del romanzo, figura a sua volta di un destino che lo sequestra al di qua di uno schermo, che gli impedisce di entrare veramente nella realtà, di avere su di essa un effetto, di possederla e manipolarla – di prendere, insomma, il posto del padre.
All’impotenza ad assumere un ruolo attivo nel rapporto amoroso corrisponde sul piano esistenziale/professionale l’inettitudine a promuovere la propria carriera accademica. Eternamente soppiantato dall’alter ego eterosessuale e performante Matteo (soprannominato il Cane), Walter è sempre a un passo dall’ottenere la cattedra, ma in fin dei conti non la ottiene mai. La vuole? Non la vuole? Qui come altrove l’ambiguità è totale, tanto che l’odio per il rivale Matteo ha al tempo stesso qualcosa di un attaccamento fatale, come se Walter avesse bisogno di una complementarietà di successo da disprezzare per godersi appieno il proprio fallimento. Il Padre stesso (l’ordinario a cui fanno riferimento sia Walter che Matteo) spinge l’altro, che finirà per prendere il suo posto nella carica di Preside come pure nel letto coniugale, relegandolo al triste ruolo di padre putativo (l’ultimo figlio, il piccolo Luca, non è suo ma di Matteo).
La struttura che abbiamo delineato – da un lato contemplazione, impotenza/insuccesso, livello autentico della coscienza e delle cose; dall’altro azione, potenza sessuale/successo, falsità e impostura – non è tuttavia definitiva. Nel romanzo c’è un movimento, se non proprio uno sviluppo. In seguito a un incontro felice (anzi due) Walter acquista la sicurezza della potenza sessuale; come in un movimento di pendolo, il Padre si schiera dalla sua parte e la cattedra sembra garantita; ma ancora una volta il successo non è che una figura: all’ultimo momento la composizione della commissione varia, la cattedra si vanifica, mentre sul lato dell’eros la ricomparsa di Ruggero – l’amato non desiderato, il contraltare dei magnifici nudi, lui che ha le spalle strette e lo sterno di volatile – instrada l’esistenza di Walter su binari coniugali (d’altra parte, Scuola di nudo può essere letto come un moderno Aut-Aut, in cui all’estetica erotico-contemplativa dei bei nudi si opponga il corpo inestetico del coniugalmente amato, e tutta una parte, dedicata a Ruggero, è una specie di amarissima, recalcitrante e paradossale variazione sul tema della Validità estetica del matrimonio).
L’amore come sentimento durevole e impegno nei confronti dell’altro “finché morte non vi separi” rappresenta un ostacolo all’eros: Ruggero deve morire. È l’unica via d’uscita da una situazione di stallo, e Ruggero infatti muore.
Con la libertà riguadagnata al prezzo di un rimorso, Walter si trova comunque in una situazione modificata: la cattedra svanita al pari del legame stabile non lo proietta nuovamente in uno stato di inferiorità psicologica nei confronti degli integrati e “potenti”. Il Padre è stato soppiantato in tutti i suoi ruoli dal figlio prediletto Matteo, al quale Walter si sente ormai pari grazie alla sicurezza della potenza sessuale. Di fatto Matteo e Walter (che vedremo compiere un rito infantile di fratellanza di sangue) sono i due aspetti complementari dell’adesione al potere, e di una critica al potere che sa quanto sia impossibile fare a meno di esso, cioè quanto l’impostura sia imprescindibile e l’autenticità/sincerità/onestà un miraggio inconsistente e, al limite, controproducente (non solo il mondo non funziona così: l’io stesso non funziona così e ha bisogno dell’impostura).
In questo senso, mi pare, è da intendere la “coda” del romanzo: il soggiorno in Guatemala e la relazione con l’”impostore” José Luís. In Guatemala Walter constata una situazione quasi inimmaginabile di miseria, ingiustizia sociale, dittatura politica, violenza e sopraffazione. Le responsabilità storiche sono individuabili e Walter le individua con precisione, tuttavia il suo impegno a fianco degli oppressi rimane imbelle e maldestro come le stesse (maldestre e velleitarie) organizzazioni di resistenza. Il prodotto positivo del soggiorno guatemalteco è la relazione col sedicente ricco e nobile José Luís, che naturalmente non è né ricco né nobile, è semplicemente uno che fa finta, quindi è quello giusto, dal momento che l’eros, non diversamente dal mondo, funziona sulla base della finzione e dell’impostura.
L’ambiguità di Walter (rispetto al potere, ai rapporti personali, all’onestà) rimane irrisolta fino all’ultima riga: fino all’ultimo Walter spera che qualcun altro – ma non lui – si ribelli alla finzione e smascheri l’impostura. Il che naturalmente non accade.
Già qui si potrebbe dire: “resistere non serve a niente”.
Bellissima recensione. Brava!
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