Infelice colui che non ha più nulla da desiderare! Perde per così dire tutto ciò che possiede. Si gode meno di ciò che si ottiene che di ciò che si spera, e non si è felici che prima di essere felici. In effetti l’uomo, avido e limitato, fatto per volere tutto e ottenere poco, ha ricevuto dal cielo una forza consolatrice che gli avvicina ciò che desidera, lo assoggetta alla sua immaginazione, glielo fa diventare presente e palpabile, lo mette in qualche modo in sua balìa, e per rendergli più dolce l’immaginario possesso lo modifica secondo che è gradito alla sua passione. Ma tutta questa magia svanisce in presenza dell’oggetto stesso: nulla lo abbellisce più agli occhi del possessore; non ci si può figurare ciò che si vede; l’immaginazione non adorna più ciò che si possiede; l’illusione cessa nel momento in cui inizia il godimento. In questo mondo il paese delle chimere è l’unico degno di essere abitato, e il nulla delle cose umane è tale che, tranne l’Essere che esiste per causa propria, non c’è di bello che ciò che non esiste.
J.J.Rousseau, La Nuova Eloisa, parte VI, lettera VIII
Questo è un pezzo da manuale, e infatti ci è finito dritto – nei manuali per la preparazione della prova scritta Esabac ad uso dei licei italiani; ma prima naturalmente su tutti i siti dedicati alla preparazione del bac littéraire per studenti francesi.
Chissà se Rousseau se lo immaginava, magari oscuramente. Chissà se da qualche parte era cosciente della baccabilità futura del pistolotto.
Secondo me avrebbe dovuto. C’è qualcosa di talmente scolastico – voglio dire di rinunciatario – in questa lode dei preliminari a scapito dell’atto, dell’aspettativa a scapito della realizzazione; come se veramente fosse stato scritto non vitae, sed scholae.
È tutto così ben costruito, così ben disposto – antitesi, chiasmi, parallelismi, figure di opposizione e di insistenza – che quasi ti viene da credergli. E poi la frase finale, non c’è di bello che ciò che non esiste, è di quelle che le adolescenti si fanno tatuare sul coppino.
È così romantica, questa ineluttabile insoddisfazione della soddisfazione. Così dialettica.
Così consolatoria. Un balsamo per la frustrazione. Non ce l’ho fatta e me ne vanto, potrei sentirmi uno sfigato e invece mi trovo catapultato dalla parte giusta dell’esistenza, ho la visione corretta senza aver fatto nulla per averla. Io vedo più lungo di voi, sono approdato all’inanità delle cose umane senza neanche passare dal via; non sono nemmeno partito che ero già alla meta, come il riccio della storiella; posso sentirmi superiore alla lepre che si affanna a correre avanti e indietro.
Veramente, se si trascende il manuale e si va a vedere, si scopre che chi parla, o meglio chi scrive, è Julie, la protagonista della Nuova Eloisa. Scrive questo elogio della fantasia e del suo primato sulla realtà nella penultima lettera, quella che magari ha imbucato mentre andava al Castello di Chillon per la visita che non aveva neanche più voglia di fare e che le sarà fatale. Lo scrive quando ancora deve convincere sé e gli altri che è riuscita a conciliare la moralità del matrimonio con la mai sopita passione per l’antico amante, che ha disinnescato la passione trasformandola in qualcosa di razionale e squisitamente spirituale, che è approdata all’armonia, che è felice, felicissima di averli armoniosamente intorno tutti e tre, gli uomini della sua vita: il padre, il marito, l’ex amante.
Nell’ultima lettera, quella scritta quando sta morendo e non è più il caso di mentire, dice tutt’altro.
E allora gliela perdoniamo a Julie questa lode dell’inazione, della fantasia, questa pezza messa sull’incapacità di essere efficace, di realizzare. Gliela perdoniamo perché capiamo che è un cataplasma applicato alla lenta agonia a cui l’hanno condannata – a cui si è lasciata condannare. Gliela perdoniamo perché di lì a poco la morte, paradossalmente, le strapperà un autentico sussulto di vita.
Il guaio è che dietro Julie ci sembra sempre di vedere Rousseau. Rousseau il disadattato convinto (a ragione, bisogna dire) che lui e non il resto del mondo sarà la pietra d’angolo del futuro. Rousseau innamorato perso di Sophie d’Houdetot e costretto a scoparsi un giorno via l’altro Thérèse Levasseur (sempre che). Rousseau ben deciso a convincerci che il destino migliore è il suo. Perché è il suo.